In occasione della "giornata del dialetto delle lingue locali” vi proponiamo un breve viaggio linguistico nel nostro "stivale", lungo i diversi modi di esprimersi degli italiani.
Come abbiamo avuto modo di constatare quotidianamente e come dimostrano i dati Istat di una ricerca condotta nel 2017, l'utilizzo dei dialetti è in netto declino (soltanto il 14% della popolazione lo usa ancora come unico modo di espressione), si parla sempre meno e viene soppiantato dall'utilizzo di slang o inglesismi... ma quanta bellezza c'è dietro le origini storiche dei nostri vecchi dialetti?!
Prima di "giocare" (passateci il termine) con i diversi dialetti, facciamo prima una brevissima introduzione partendo dell'etimologia della parola "dialetto", secondo il dizionario Treccani è un "sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato"; la parola deriva dal greco “dialektos”, ovvero "dialogo". Si evince subito che c'è un richiamo all'aspetto orale della lingua, e non a quello scritto. Il dialetto è pertanto il codice comunicativo con cui si parla, ovvero con cui dialoghiamo.
Secondo il professor Tristano Bolelli, celebre glottologo e linguista, "i dialetti non sono dei sottoprodotti della lingua italiana; hanno le loro radici che sono altrettanto nobili". Afferma anche "Per un linguista parlare di lingua o dialetto è la stessa identica cosa".
Dato questo primo quadro iniziale, sappiamo che ci sono parole che cambiano nome a seconda della regione in cui ci si trova: sono i cosiddetti geosinonimi.
Per esempio, avete presente quell'oggetto in legno o plastica che si usa per appendere i vestiti? Un piemontese lo chiama "appendino", ma se capitate a Milano sarà molto più facile sentire la parola "ometto", in Toscana "gruccia", mentre in altre regioni della nostra amata Italia lo chiamano "stampella". Poi ancora "attaccapanni" o "omino". Sei, se non più, parole per esprimere lo stesso oggetto.
D'estate nel nord Italia si mangia l’"anguria" mentre nel centro e nel sud il "cocomero" oppure "melone d'acqua".
Per far buio prima di andare a dormire si chiudono le "tapparelle", o "serrande" o addirittura "gelosie".
Come aperitivo possiamo bere un bicchiere di vino, o "bianchino", o "ciuchino" e se ci troviamo al nord possiamo accompagnarlo con un pezzo di "focaccia", mentre in Toscana mangeremmo la "schiacciata", e a Roma un pezzo di "pizza bianca"... stesso cibo ma con nomi differenti!
Infine, tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo raccontato ai nostri genitori di essere andati a scuola ma abbiamo trascorso l'intera giornata a fare ben altro, vero? Bene, noi diremmo che abbiamo "marinato la scuola" oppure, ancora più moderno, "abbiamo bigiato", mentre un sardo esorterebbe dicendo "ho fatto vela". In Emilia Romagna si fanno i "funghini", in Sicilia gli studenti "caliano" o "stampano" la scuola e in Campania e Calabria "fanno filone". Più decorativi sono i romani, che "fanno sega", mentre i Piemonte "tagliano" le lezioni oppure "fanno schissa", in Veneto "fanno manca".
In Toscana a seconda della città in cui ci si trova assume diverse sfumature, per esempio a Firenze si "fa forca", ad Arezzo si "fa chiodo" e a Grosseto si "fa salina".
Un intero stivale con così tanti modi di esprimere lo stesso concetto... sarebbe bello un giorno poter scrivere di un vero e proprio viaggio linguistico in questa terra :)
Stay turned e condividi con noi più dialetti possibili!